venerdì 14 dicembre 2007

LUCA


Te voglio tanto, tanto bene, ma porca miseria, levate st'occhiali

FILIPPETTOOOOOOOOOOOOOOOOOO




Settembre 2006



La mia macchina

Maria Vs Maurizio

Il 13 marzo 2008 ci sarà la causa che la D.ssa Maria ha intentato contro di me.
Dopo quasi 25 anni che abito a ........... ha avuto il coraggio di denunciarmi per occupazione abusiva.
Io me metto a occupà gli appartamenti!?
Che la posseno sventralla a lei e chi ce l'ha messa.
Eeeeh ma non finisce qui, no no no.
M'ha pure chiesto 25.000,00 € in contanti entro 10 gg per indennità d'occupazione e fitti arretrati.
La posseno sventralla n'artra volta.
Ma andò li vado a pija 25.000,00 €? Mettimeli a rate no!?
Stronza!
E' talmente cattiva che non je ne frega niente de mette na famiglia in mezzo alla strada.
Quale famiglia? Io e Filippetto no!
M'ha mannato pure la polizia a casa pe sapé chi so.
Porella, non lo sapeva chi so.
Lei deve solo pregà Iddio che non perdo la causa perché se la perdo, la dentro faccio un macello che non finisce più. In galera li manno, dal primo all'ultimo.

IL MIO UFFICIO


ANZIO Santa Teresa


ASHKELON introduzione


MAURIZIO, FLAVIO E LE PORTE DI CRISTALLO

ROMA, 1982

L’orologio sul cruscotto della macchina segnava le 15,00 e pioveva a “rotta de collo”, come si dice a Roma, quando Maurizio arrivò a Circonvallazione Appia, 91. Le nuvole erano talmente basse, grigie, ma di un grigio così intenso ed omogeneo, senza sfumature, che Maurizio si sentì schiacciare dentro la macchina. Il cielo era completamente oscurato da queste nubi che non si vedeva la minima traccia di azzurro. Pioveva intensamente. Di solito è piacevole stare in automobile mentre piove. La pioggia che batte sui vetri ed il rumore dei tergicristalli danno un’insolita sensazione d’intimità. Ma quella che provò Maurizio, quel giorno, non fu assolutamente una sensazione piacevole. Si voltò verso il cancello del palazzo ed esclamò: “Il più brutto della strada! Chissà, forse con il sole…, Qua mica smette de piove. Me sa tanto che me conviene parcheggià ed andare dal Sig. Botaro a pagare il condominio. Lo troverò un parcheggio?”. Fece circa duecento metri di strada fino al semaforo, senza vedere nulla a causa della fitta pioggia, e senza trovare un posto. Girò a destra, fece il giro dell’intero isolato e si ritrovò al punto di partenza. Parcheggiò l’auto tra il cancello del civico 91 e quello del 93, in modo tale da consentire l’eventuale transito di altre auto. Si allungò sul sedile posteriore per cercare di prendere, attraverso il foro posto sullo schienale del sedile, l’ombrello nel bagagliaglio. Aprì lo sportello per scendere e fu subito investito da una raffica di vento che gli appannò gli occhiali. Chiuse immediatamente lo sportello. “Mannaggia, dove sta la pezza per pulire gli occhiali?”. Aprì il cassetto dal lato passeggero e ne tirò fuori una pezza rossa con la quale asciugò gli occhiali. Provò nuovamente ad uscire dalla macchina. Attraversò di corsa, senza neanche aprire l’ombrello, il breve vialetto che dal cancello conduceva al portone del palazzo. Nonostante la breve corsa arrivò sotto il portico completamente zuppo. Il portico! Non era altro che un balcone sorretto da due pilastrini in tubi di cemento, sotto il quale stava il portone a due ante, in alluminio e vetri. Sul lato destro del portone c’erano i citofoni. “Botaro, Botaro, Botaro, Botaro eccolo qua” fece scorrendo con l’indice la lista dei nomi. “Ce starà?, ma dove va in giro co sto tempo!”. Pigiò il pulsante. “Chi è?”, rispose una voce bassa e roca. “Buonasera Sig. Botaro, sono ********”.
“Ah, salve la stavo aspettando. Salga su, scala B quarto piano, le apro il portone”.
“Ho le chiavi, grazie”.
“Non prenda l’ascensore”. Ciok. Riagganciò il citofono.
Attraversò l’androne. Qualcuno avevava cercato, senza riuscirci, di dare all’ingresso, un tocco di eleganza, incollando sulle pareti, paesaggi lacustri in bianco e nero. Sulla parete di destra c’erano le cassette della posta, suddivise per le due scale. Dpo le cassette postali, su una piccola parete sporgente nell’androne, c’era una tavola di compensato: la bacheca condominiale. Subito dopo, il primo appartamento. La targhetta sul campanello era priva di nome. “Dovrebbe essere questo” pensò Maurizio. Di fronte, nella parete opposta, un altro portone, l’interno uno della scala A. In alto, sulle pareti, gli insignificanti paesaggi in bianco e nero. In fondo all’androne, attraverso un altro portone in alluminio, uguale al primo, si accedeva al cortile dell’edificio. Sopra questa seconda porta un lumicino illuminava l’immagine di una madonnina. A destra e a sinistra del cortile, le scale circolari completamente finestrate, sembarvano due torri di vetro. Al centro un gruppo di alti ficus e vasi di grandi foglie sempreverdi. Scala A a sinistra, scala B a destra.
“Ha detto di non prendere l’ascensore, bah, in fondo sono solo tre piani”.
S’incamminò per la scale sgocciolando pioggia su ogni gradino. “non gli ho chiesto l’interno” pensò. “Che c’era scritto sul citofono) ah si, interno 12. Terzo piano, eccolo qua, interno 12, Botaro”. Din Don. Accompagnato un cigolio da brividi la porta si aprì. In giacca da camera rossa a rige dorate, stratta in vita da una cordo color oro dalle cui estremità penzolavano due pomelli, pantaloni neri gessati i piedi affondati in morbide pantofole verdi, il Signor Botaro si presentò a Maurizio, invitandolo, con un gesto della mano, ad entrare.
L’ingresso, quadrato, con un pesante armadio sulla parete destra e due insignificanti quadri su quella sinistra, apparve fiocamente illuminato dalla luce proveniente dalla stanza attigua. Seppur accanito fumatore, Maurizio arricciò il naso a causa del lieve ma sgradevole odore di chiuso che avvertì entrando in casa del signor Botaro.
Prego Signor *******, si accomodi” disse Botaro a Maurizio indicandogli il salotto dove, in un angolo, dietro la porta, c’era una scrivania.
M’ha telefonato il dottor Ziboi. Ha parlato molto bene di lei” disse Botaro a Maurizio.
“Sii, la ringrazio” lo interruppe subito Maurizio non potendo più sopportare di sentirlo parlare senza la dentiera.
“Sono venuto per il condominio, se non sbaglio sono quarantamila lire”.
“Certo, le preparo la ricevuta” rispose il signor Botaro.
Aprì un cassetto della scrivania e prese il libro delle ricevute. Ne compilò una, la strappò dal registro e la diede a Maurizio.
“Si paga il cinque di ogni mese, mi raccomando la puntualità” gli disse consegnandogli la ricevuta.
“Non si preoccupi signor Botaro” rispose Maurizio prendendo la ricevuta. “Vorrei andare a vedere l’appartamento prima che faccia notte, sicuramente la luce è stata staccata, sono già le quattro e fra poco sarà buio” disse Maurizio.
Diede una breve occhiata alla ricevuta, la piegò in due, la mise nel portafogli e si avviò verso l’uscita. Mentre gli stringeva la mano il signor Botaro gli ricordò di non prendere l’ascensore. “Sa, le tavole del pavimento non sopporterebbero il peso, bisogna sostituirle”.
“Ok, grazie signor Botaro, arrivederci”.
Mentre scendeva le scale cercò le chiavi dell’appartamento nelle tasche dell’impermeabile. Arrivò davanti al portoncino della sua nuova casa, proprio nell’androne del palazzo. Infilò la chiave nella serratura. Uno, due, tre giri al contrario e la porta s’aprì. La richiuse dietro di se appena entrato e restò per qualche istante appoggiato ad essa, al buio, nella sua prima casa. Si sentì un forte tuono, vicinissimo. Al piano superiore qualche bambino stava giocando conle palline. Ne sentì chiaramente una rotolare per qualche secondo sino a quando urtò contro una parete. Allungò automaticamente il braccio sinistro alla ricerca dell’interruttore, la luce si accese. “Menomale” pensò, “Non l’hanno staccata”. Una lampadina penzolante dal soffitto illuminò un corridoio di circa sei metri. Quattro porte sulla sinistra ed una sulla destra. Sulle pareti un’orrenda carta a disegni geometrici: file di rombi in diverse tonalità di rosso. Cominciò ad ispezionare la casa. Aprì la prima porta di sinistra: un piccolo ripostiglio di circa due metri quadrati con tanto di termosifone. La seconda porta era quella del bagno. Forse un metro e mezzo per tre. Una vasca senza il rivestimento in muratura, sorretta da quattro zampe di leone, un lavabo squadrato, il bidet ed il wc proprio sotto la finestra. “Che schifezza!” esclamò.